Il Comune di Torino e i servizi pubblici


Nella polemica scaturita dopo la contrastata votazione del Consiglio Comunale di Torino sulla fusione Iride – Enia, sono stati formulati giudizi sgradevoli ed inesatti su Attac.

Anziché alimentare la polemica crediamo di fare cosa utile al dibattito sul merito della questione, offrendo a cittadini ed amministratori una breve ricapitolazione, riguardante gli ultimi anni, della posizione ufficiale del Comune di Torino, in quanto istituzione, sui propri servizi pubblici.

Il Consiglio Comunale, già nel precedente mandato (ma con analoga maggioranza e identico sindaco), si è trovato a esprimere la propria posizione di indirizzo sul tema dei pubblici servizi.

Nel 2003 il Consiglio (unanimemente con astensioni) vota un Ordine del giorno (25/06/2003) contro l’AGCS (l’accordo, promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, per la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici).


Di tale Ordine del giorno vale la pena riprendere alcuni punti:  

     si stigmatizza che “Servizi Pubblici come sanità, istruzione, acqua, energia, gas, trasporti ecc, ...  verrebbero sottratti al potere decisionale e quindi alla sovranità legislativa e normativa delle Istituzioni elettive a livello locale e nazionale”,  

     si ricorda che compito del Comune è “garantire l’universalità dell’erogazione del servizio, la tutela dell’ambiente e dell'occupazione, in particolare dei lavoratori svantaggiati o dei disoccupati locali” e che “gli interessi dei cittadini” non sono difesi da coloro che “in nome del libero mercato e della concorrenza, danno nuovi diritti e protezioni alle imprese multinazionali ma non danno alcun diritto ne protezione ai lavoratori, all’ambiente e alla nostra collettività locale”.

Riteniamo che sia di vanto per la Città, per il Consiglio Comunale e per tutte le forze politiche che lo compongono, che non un solo consigliere, di nessuna forza politica, si sia opposto con la voce e con il voto a quest’Ordine del giorno.

Successivamente con Ordine del giorno de 14/02/2005 il Consiglio aderisce agli Stati Generali Europei contro l’AGCS con solo 5 voti contrari.

Anche questa volta ci si rifiuta di”sottomettere le politiche ed i poteri locali soltanto alle leggi di mercato” in omaggio alla “logica neo-liberista”. Con questo voto i consiglieri si uniscono a quegli amministratori locali che, in tutto il mondo, “denunciano la gravità del pericolo di considerare i servizi pubblici locali come una merce qualsiasi, e si rifiutano di metterli in concorrenza sul mercato” e all’opposto “si impegnano invece a difendere ed estendere i servizi pubblici locali per una maggiore coesione ed equità sociale”.

A seguito di tale Ordine del giorno, viene ospitata a Palazzo civico una riunione del “comitato di pilotaggio degli Stati Generali” (con la partecipazione della Presidenza del Consiglio Comunale); successivamente nell'ottobre del 2006 alcuni Consiglieri comunali e provinciali (anche la Provincia aveva aderito), del sindacato e della società civile, partecipano attivamente e in forma ufficiale, agli “Stati Generali contro l’AGCS” di Ginevra (città sede dell’OMC), i cui lavori sono stati aperti dal Sindaco di Ginevra

A questo punto, prima di proseguire, occorrono almeno due precisazioni:

Primo, la normativa europea non costringe alla privatizzazione dei servizi; ma pone dei criteri rigorosi per il cosiddetto affido in house.

Citiamo, solo per esemplificare, la sentenza  della Corte di Giustizia dell'Unione Europea Parking Brixen GmbH contro Gemeinde Brixen (13 ottobre 2005 C-458/03) in cui si nega l’affido in house “alla società:

• il cui oggetto sociale è stato esteso a nuovi importanti settori,

• il cui capitale dev’essere a breve termine obbligatoriamente aperto ad altri capitali,

• il cui ambito territoriale di attività è stato ampliato a tutto il paese e all’estero,

• e il cui Consiglio di amministrazione possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente”

Questi principi sono stati recentemente ribaditi nella causa Coditel Brabant SA contro Commune d’Uccle, (13 novembre 2008 C-324/07)

In altre parole è possibile conservare un servizio sotto controllo pubblico, purché non si utilizzi l’impresa pubblica per ottenere utili non reinvestiti nel servizio (e/o nelle relative infrastrutture) o facendo concorrenza ad imprese private, addirittura in territori geograficamente lontani dalla collettività locale.

Occorre ricordare che il controllo al 51% da parte dell’ente locale non soddisfa quella richiamata esigenza di controllo “analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”, cui l’ente pubblico è tenuto per poter utilizzare l’affido in house

Secondo, il diritto nazionale italiano, quando obbliga le collettività locali a privatizzare i servizi trattandoli come una qualunque altra merce, lede gravemente l’autonomia costituzionalmente protetta delle collettività locali (particolarmente dopo le modifiche costituzionali del 2001). Il Comune di Torino non si può sottrarre al compito di difendere sia sul terreno politico che della giurisdizione i propri diritti costituzionali: è questione di democrazia.  

Alla luce di queste precisazioni diventa interessante la lettura del programma elettorale, sulla base del quale l’attuale Sindaco è stato rieletto nel 2006 (reperibile sul sito del Coordinamento dei Comitati Spontanei di Quartiere: www.ccst.it). Infatti esso contiene l’indicazione (pag. 11) che si “ritiene strategicamente necessario mantenere il controllo pubblico” dei servizi (ovvio domandarsi: alla luce della giurisprudenza europea?), preceduta dall’individuazione dell’ambito territoriale. In effetti “ragionare su scala metropolitana sarà sempre più necessario sia per migliorare i servizi sia per promuovere la crescita del nostro territorio” (pag. 7); inoltre viene additata ad esempio la Smat (pubblica al 100% e con un preciso ambito territoriale di riferimento, ci viene naturale aggiungere).

Fin qui si riscontra una continuità nell’azione e nel ruolo dell’Comune.

Una aperta discontinuità, si trova invece nel documento predisposto dal Sindaco il 25/09/2008 (il cosiddetto DPEF), qui si parla esplicitamente di “mercato dei servizi pubblici locali” e di “crescita competitiva delle stesse aziende [di servizio pubblico] in mercati non domestici” di  “controllo pubblico contendibile” al fine di “valorizzare il capitale detenuto dagli azionisti, la redditività dello stesso, e creare condizioni per eventuali nuove e ulteriori aggregazioni competitive”.

Coerentemente con questi obiettivi, si prospetta la separazione tra servizio e infrastruttura, garantendo nel tempo, solo per quest’ultima, la partecipazione pubblica al 51%.

Come si vede questo documento, non sottoposto al voto degli elettori (e nemmeno del Consiglio Comunale), rappresenta una autentica svolta ad U dell’azione comunale, quale è stata precedentemente definita con procedure democratiche.

Al termine di questo breve excursus vogliamo solo ricordare che difendiamo la natura pubblica dei servizi in quanto l'esperienza, maturata in questi anni in tutta Europa, ha dimostrato che la privatizzazione dei servizi comporta troppo spesso le stesse conseguenze: aumento delle tariffe, degrado del servizio, scarsa manutenzione delle infrastrutture, deterioramento delle condizioni dei lavoratori interessati.

Non potrebbe essere diversamente, in quanto ai costi industriali si aggiunge la necessità di una ragguardevole remunerazione del capitale (altrimenti perché vi dovrebbe essere investito nella non garantita forma azionaria?). Oltretutto si introduce una prospettiva temporale di breve termine che contrasta con la natura stessa e gli scopi del pubblico servizio.

Si potrebbe chiedere conferma di ciò ai cittadini di Lipsia che hanno rifiutato, in un recente referendum, la parziale privatizzazione (cessione del 49%) della loro società comunale multiservizi. O al Sindaco di Parigi che ha deciso la ripubblicizzazione del Servizio idrico integrato.

Più vicino a noi, è sufficiente chiedere a cittadini e amministratori dell'astigiano la loro opinione sulla, fortunatamente finita, gestione privata del loro acquedotto consortile.

Occorre anche superare l'illusione che il 51% di proprietà pubblica sia una garanzia di perseguimento di pubbliche finalità.

Oltre ai già citati ostacoli discendenti dal diritto comunitario, la necessità di remunerare il capitale investito obbliga l'intera impresa in questione a porsi l'obiettivo di remunerare il capitale massimizzando gli utili e non di massimizzare (e rendere universale) il servizio. Talvolta si arriva all'assurdo che l'azionista pubblico di maggioranza concede, tramite un patto parasociale, l'amministrazione al socio privato di minoranza. L'italico vezzo di fare i capitalisti con i soldi di “Pantalone” riaffiora sempre in forme e luoghi inaspettati

E' già consolidato, nella nostra, seppur giovane, tradizione un metodo di lavoro e confronto che parta dai dati oggettivi e non dall'ideologia. Per questo ci sentiamo autorizzati a chiedere a tutti gli interlocutori di allontanarsene; ma da tutte le ideologie, compresa quella neo-liberale che continua, in Italia più a lungo che altrove, ad esercitare una quasi incontrastata egemonia.

Sarebbe fin troppo facile concludere queste righe ricordando che i disastri dell'ideologia neo-liberale sono sotto gli occhi di tutti. Ad esempio l'Irlanda, il paese più liberale d'Europa (l'Heritage Foundation considerava l'Irlanda la terza economia più libera del mondo dopo Hong Kong e Singapore), sarà il primo paese a uscire dalla recessione ...per entrare nella depressione, con una  caduta del PIL superiore al 10% (primo paese industriale a sperimentare questa debacle economica dalla fine della seconda guerra mondiale). Secondo il premio Nobel per l'Economia Paul Krugman questo non avviene a caso (New York Times 20 aprile 2009).

Preferiamo, in conclusione, citare un esempio concreto e più vicino a noi di accecamento ideologico.

Per spingere all'abbandono delle vecchie municipalizzate ci si diede, in Italia, una normativa di significative agevolazioni fiscali per la loro trasformazione in SpA.

Come perfettamente prevedibile, la Corte di Giustizia UE ha condannato l'Italia per questa legislazione di indebito favore. Oggi le ex municipalizzate divenute SpA devono rimborsare il fisco delle tasse non pagate. Il momento economico non è certo dei migliori per un significativo esborso.

Ma che importa, andrà meglio la prossima volta. Tanto paga Pantalone.

      Torino, maggio 2009

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Articoli collegati:

Risposta al Sindaco della Città di Torino a seguito della sua intervista su La Stampa del 1° maggio 09

ORDINE DEL GIORNO DEL CONSIGLIO COMUNALE DI TORINO Oggetto: No all'ampliamento dell' Accordo Generale sul Commercio dei Servizi

Ordine del giorno n. 2005 00346/002 approvato il 14 febbraio 2005: Adesione agli STATI GENERALI DEGLI ENTI PUBBLICI EUROPEI CONTRO L'AGCS". 

Convenzione Internazionale degli Enti e delle Comunità locali per la promozione dei servizi pubblici Ginevra 28 - 29 Ottobre 006 

Risoluzione finale del 3° Forum delle autorità locali per l'inclusione sociale – Porto Alegre 2003