TTF

La Tassa sulle Transazioni Finanziarie

Una piccola tassa sulla finanza. Una grande risorsa per i più poveri e il pianeta

Cos'è la TTF 

Di Fabrizio Valli (Attac Italia) 04/08/2011
Dopo anni di crisi che ha avuto come elemento scatenante il capitale finanziario, dopo che grazie al generosissimo sostegno degli stati questo è stato rimesso in grado di riprendere i suoi attacchi speculativi contro gli stati stessi, le nostre “parti sociali” non ne mettono minimamente in discussione il ruolo, si stendono anzi prone di fronte all’oracolo


“La politica di bilancio resta il cuore dei nostri problemi. Le turbolenze di questi  giorni dimostrano senza alcun dubbio che i mercati  non hanno fiducia  nell’impegno dell’Italia a conseguire il pareggio di bilancio nel 2014…Evidentemente occorre fare di più.  L’eliminazione di ogni dubbio circa la solidità di  lungo periodo dei nostri conti pubblici è un obbligo ineludibile di fronte al quale oggi ci troviamo”.
Non stupisce quindi che le ricette proposte siano le classiche ricette neoliberiste, quelle stesse ricette che hanno imperversato negli anni che ci hanno portato a questa crisi, che hanno creato diseguaglianze senza precedenti, esasperato sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, peggioramento delle condizioni per la stragrande maggioranza della popolazione, enorme degrado della salute e dell’ambiente.
“Ma la solidità dei conti pubblici va accompagnata e rafforzata con misure per la  crescita dell’economia. Sono anni che tutti noi chiediamo misure per la crescita.  Sono anni che chiediamo meccanismi per sbloccare gli investimenti pubblici e  privati. Sono anni che chiediamo di modernizzare la pubblica amministrazione per lasciare più spazio all’iniziativa imprenditoriale e al mercato e di ridurre i confini dello Stato. Sono anni che chiediamo misure vere di liberalizzazione per eliminare posizioni di rendita e restituire efficienza ai servizi”.
Quindi meno stato e più mercato. Risulta continuamente stupefacente il fatto che venga costantemente spacciata come “modernità” il ritorno ad un modello di capitalismo ottocentesco.
Queste richieste si concretizzano in sei punti 
1.       Pareggio di bilancio nel 2014. Il pareggio di bilancio, il feticcio delle teorie economiche neoliberiste, dovrebbe essere inscritto nella costituzione e raggiunto con “provvedimenti strutturali”.  Questo impedirà qualsiasi intervento dello stato in politiche espansive e determinerà la necessità di pesanti tagli.
Chi pagherà questi tagli? Il documento lo chiarisce subito: “Guardando alla struttura della spesa  pubblica è evidente che non si può prescindere da interventi per  aumentare la produttività del pubblico impiego e per modernizzare il sistema di welfare”. Quindi ulteriore attacco alle condizioni di lavoro dei dipendenti pubblici ed ai loro livelli occupazionali ed ulteriori tagli allo stato sociale, in un momento in cui a causa di questa crisi, sempre più sono le persone che ne avrebbero bisogno.
2.       “Costi della Politica. È un punto essenziale. Non è possibile chiedere sacrifici agli italiani senza contemporaneamente procedere a tagli effettivi e credibili a tali costi.  Anticipare da subito le riduzioni contenute nella manovra … Ridurre i costi delle assemblee elettive e degli organi dello Stato. Abolire le Provincie.  Accorpare o consorziare i piccoli comuni”.
 Qualche tirata populistica non fa  mai male, va benissimo ridurre i costi della politica, andrebbe ancora meglio individuare anche altri che si sono enormemente avvantaggiati in questi decenni, rendite e profitti. Non va molto bene invece vedere le assemblee elettive solo come un costo. Per combattere la burocrazia statale e politica bisogna ampliare e non ridurre gli spazi di democrazia,introducendo forme di democrazia partecipativa e riportando sotto il controllo democratico settori che ne sono fuori perchè in mano privata.
3.       “Liberalizzazioni e privatizzazioni. Occorre un grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni da avviare subito. Affrontare con decisione i temi essenziali della regolazione e dell’apertura dei mercati. procedere alla liberalizzazione delle professioni. Avviare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico, con un piano articolato negli anni.  Incentivare gli enti locali a dismettere patrimoni immobiliari e società di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi per spese d’investimento superando gli attuali vincoli del Patto di Stabilità”.
Mettere quindi nelle mani del capitale privato, compreso quello finanziario e la rendita immobiliare, settori in gran parte a carattere monopolistico od oligopolistico, in cui ottenere sovraprofitti garantiti a spese di lavoratori, che pagheranno con peggioramento delle loro condizioni, e cittadini, che pagheranno con l’aumento delle tariffe ed il peggioramento dei servizi.
E’ interessante notare tra l’altro che, quando si tratta di garantire finanziamenti che servono alle imprese, il patto di stabilità, altrimenti sacro ed intoccabile, si può tranquillamente superare. Ulteriore dimostrazione, se ne fosse necessario, del carattere di classe del patto.
4.         “Sbloccare gli investimenti. Sbloccare con misure eccezionali le opere già finanziate con risorse pubbliche e private. Rimuovere gli ostacoli normativi alla realizzazione delle opere con particolare riguardo alla logistica e all’energia.  Utilizzare, con il necessario cofinanziamento nazionale, i fondi europei per il Mezzogiorno a partire da quelli dell’anno in corso. Perdere questi fondi sarebbe inaccettabile.  Modificare il titolo V della Costituzione per recuperare a livelli appropriati la strategia delle grandi reti ed evitare sovrapposizioni di competenze”.
 Perché, si sa, il meno stato e più mercato non vale per tutti, il pareggio di bilancio si deve ottenere massacrando lo stato sociale ed il pubblico impiego, mica toccando le spese pubbliche per grandi opere, magari inutili, o per centrali, inceneritori, rigassificatori ed altri impianti di questo tipo, spesso avversati dalle popolazioni dei luoghi dove dovrebbero sorgere che servono a sostenere i profitti, nella migliore ( si fa per dire ) delle ipotesi creando infrastrutture a spese pubbliche per le imprese, nella peggiore facendo guadagnare chi le realizza o gestisce a spese dei contribuenti ( cioè dei lavoratori dipendenti , visto chi paga le tasse in Italia). Anzi, si chiede anche la modifica della costituzione per togliere a qualche ente locale che volesse mettersi di mezzo , spinto dalla propria  popolazione, la possibilità di metterci becco.
5.       “Semplificazioni e Pubblica Amministrazione. Approvare rapidamente i provvedimenti di semplificazione all’esame del  Parlamento. Non è più rinviabile la riforma strutturale della Pubblica Amministrazione che permetta un recupero di produttività e consenta di risolvere situazioni di crisi utilizzando strumenti analoghi a quelli del settore privato. Accelerare l’utilizzo di nuove tecnologie nella PA, per accrescere la produttività e contrastare l’evasione anche potenziando la fatturazione elettronica e riducendo l’uso contante.  Al tempo stesso vanno evitate misure di vera e propria oppressione fiscale nei confronti dei contribuenti”.
Mandare un bel po’ di lavoratori pubblici, già ridotti da anni di blocco del turn- over, in mobilità e cassa integrazione. Spremere i lavoratori rimasti, con salari bloccati sino al 2014 grazie al governo e ridurre questi fastidiosi controlli fiscali, che tra l’altro trovano anche parecchio tra imprese e professionisti. Riducendo i lavoratori pubblici si ridurranno ovviamente anche gli altri controlli su, abusi urbanistici, ambiente, salute, sicurezza del lavoro, rispetto della normativa sul lavoro e delle regolarità contributiva.
6.       “Mercato del lavoro. Alla luce delle gravi difficoltà del Paese le parti sociali proseguiranno l’impegno per modernizzare le relazioni sindacali”. 
 
Dopo tutto questo rizzare di capelli  un breve intermezzo con una nota di umorismo: “Vorremmo infine ricordare che, pur in una situazione difficilissima, le imprese e le banche italiane stanno dando un grande contributo all’economia del Paese”.


“Attuare un piano straordinario di lotta all’evasione fiscale e contributiva utilizzando i proventi per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro”. 

Ridurre la pressione fiscale sul lavoro può dire due cose, ridurre la pressione fiscale sul costo del lavoro ( cioè i contributi che pagano le imprese ) visto che “lavoro” non è sinonimo di “lavoratori”; ma anche si trattasse di ridurre anche le tasse che pagano i lavoratori questo verrebbe utilizzato dalle imprese per frenare le richieste di aumenti salariali. Ammesso che la riduzione della pressione fiscale sia compensata dal recupero dell’evasione fiscale, in caso contrario i lavoratori vedrebbero ridursi il salario sociale garantito dal welfare.

Ma come abbiamo visto prima il taglio allo stato sociale è già previsto per raggiungere il pareggio di bilancio, l’aumento del costo dei servizi pubblici dalla loro privatizzazione. Il recupero dell’evasione fiscale, molto teorico visto il richiamo nel punto 5 all’evitare misure di oppressione fiscale – che come sappiamo è sinonimo di riduzione dei controlli.
A questo punto una domanda sorge spontanea. Ma se il documento ritiene che l’alfa e l’omega della politica economica debba essere la riduzione del debito pubblico, perché non vi destina questi introiti?


Questa domanda chiarisce il carattere generale di questo documento: Lo sforzo di riduzione del debito pubblico come strumento per garantire la certezza del pagamento degli interessi al capitale finanziario da un lato e come strumento di attacco a lavoratrici e lavoratori dall’altro. Attacco che avviene direttamente per i lavoratori pubblici ed indirettamente per tutti i lavoratori, con la riduzione dello stato sociale, con le politiche di rigore, con gli effetti negativi delle privatizzazioni. Le risorse pubbliche, che provengono in gran parte dalle tasse pagate dal lavoro dipendente, vengono dirottate agli investimenti a sostegno dei profitti.
Vi è un altro aspetto negativo per i lavoratori di questo meccanismo, l’insieme di queste politiche non può che peggiorare i rapporti di forza per i lavoratori.


E non a caso quindi vediamo spuntare tra le proposte:” Detassare in via strutturale i premi di risultato”. Privilegiare cioè quegli aumenti discrezionali del datore di lavoro che spingono al maggiore auto sfruttamento e possono vincolarne l’erogazione a parametri di risultato aziendale che sono fuori dal controllo dei lavoratori, con l’obiettivo di “fidelizzare” il lavoratore alla logica del profitto d’impresa.
Altre proposte presenti nel documento:” Incentivare la crescita dimensionale e la patrimonializzazione (ACE)”, sviluppare cioè i fenomeni di centralizzazione e concentrazione capitalistica a favore di grandi imprese;  “Avviare un piano di riduzione progressiva dei pagamenti ritardati alle imprese in vista dell’applicazione della direttiva comunitaria”, perché se bisogna fare le politiche di rigore i salari si bloccano ai lavoratori pubblici, le imprese si devono pagare subito;  “Attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all’estero delle imprese italiane”. Siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo essere competitivi, o meglio lavoratrici e lavoratori devono essere competitivi con lavoratrici e lavoratori di altri paesi. Le imprese, se i salari non sono abbastanza bassi, se i lavoratori non sono abbastanza flessibili, se gli obblighi legislativi sono troppo fastidiosi, se le politiche fiscali, infrastrutturali ed economiche abbastanza favorevoli ad “attrarle” nel paese, per essere competitive magari delocalizzano altrove. Ovviamente così funziona il capitalismo, ma visti i suoi risultati economici, sociali ed ambientali, per gran parte della popolazione,  forse è il caso di ricordarci che, al contrario di quello che ci viene costantemente detto da chi difende questo sistema, non si tratta di un sistema naturale ed eterno e che forse è venuto il momento di superarlo.


Chiudiamo con gli ultimi due obiettivi del piano
“Definire un piano energetico per la green economy con una visione al 2020, operando principalmente attraverso la fissazione di standard”.
Che messo così non vuol dire praticamente niente, ma una tinta di vernice verde va sempre bene. Prescindendo dal fatto che, con l’avvenuta privatizzazione del settore dell’energia non ha molto senso parlare di un piano energetico, in particolare da parte di chi vuole “un grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni da avviare subito”, visto che per fare un piano energetico che abbia una qualche efficacia servirebbe ripubblicizzare il settore, non bastando assolutamente fissare qualche standard; com’è conciliabile questo obiettivo con la richiesta di “Rimuovere gli ostacoli normativi alla realizzazione delle opere con particolare riguardo alla logistica e all’energia”. Quanto sono verdi le grandi opere della logistica? E, ammesso che possano essere sufficienti, a che standard si riferiscono gli estensori del documento, visto che una delle principali organizzazioni che l’ha firmato, Confindustria, ha fortemente criticato come troppo onerosi persino gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea, largamente insufficienti e collegati al metodo dei permessi d’emissione, cioè alla privatizzazione dell’atmosfera? Non è necessario dilungarsi più di tanto sulla contraddizione tra gli obiettivi di fondo di questo documento ed il fatto che la risoluzione dei problemi ambientali è incompatibile con un sistema che per massimizzare i profitti deve costantemente aumentare la scala della produzione ed appropriarsi dell’ambiente e delle risorse ambientali, degradandole. 
L’impressione è che questo sia solo un passaggio per ottenere finanziamenti pubblici per settori di imprese, più o meno verdi, visto che in Italia anche i rifiuti che vanno negli inceneritori sono considerati energia rinnovabile.
“Sostenere i processi di ricerca e innovazione delle imprese cominciando con il rendere immediatamente operativo il credito d’imposta previsto dal DL Sviluppo”. Cioè dare soldi alle imprese per fare quello che dovrebbero già fare da sole e che è una delle principali giustificazioni che avanzano per legittimare i loro profitti e che è tutt’altra cosa dal riprendere un ruolo pubblico nella direzione dell’economia.
E per chiudere un’altra nota d’umorismo:
Il documento non reca firme è stato presentato nella riunione con il governo ed illustrato dalla presidente di Confindustria a nome di tutte le parti sociali. Nel pomeriggio è uscito il seguente comunicato
“Oggi le parti sociali hanno presentato al Governo e alle opposizioni un documento, articolato in sei punti, per consolidare la stabilità dei conti pubblici e promuovere la crescita.
Le parti sociali prendono atto dell’immediata disponibilità del Governo e delle opposizioni a confrontarsi per affrontare le proposte presentate. In questo quadro, segnalano la necessita’ che vi sia piena consapevolezza da parte di tutti della serietà della situazione italiana.
Di conseguenza, ribadiscono l’urgenza di attuare fin dai prossimi giorni i provvedimenti necessari per far rientrare le tensioni sui mercati finanziari.
Le parti sociali, nel proseguire il lavoro comune, si incontreranno nuovamente la prossima settimana, per un esame costante degli sviluppi della situazione economica e finanziaria”.
Firmato : ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI, ANIA, CGIL, CIA, CISL, CLAAI, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETEIMPRESE ITALIA (CONFCOMMERCIO, CONFARTIGIANATO, CNA, CASARTIGIANI, CONFESERCENTI), UGL, UIL
La segretaria della CGIL Susanna Camusso ed altri dirigenti di questo sindacato in diverse interviste nel pomeriggio ed in serata hanno dichiarato che la CGIL ed altre organizzazioni, non condividevano il punto sulle privatizzazioni. A Parte l’ovvia domanda “ ma perché non l’avete fatto togliere?” non si può non vedere che questo punto, come detto prima, è perfettamente organico alla filosofia che anima tutti gli altri punti e il documento in generale. Surreale era anche il fatto che queste interviste legate all’incontro parti sociali – governo enunciassero una serie di misure di politica economica che nel documento non vengono neanche nominate, ad es la tassazione delle rendite finanziarie. Dopo il recente accordo questo documento è un’ulteriore prova di come le burocrazie sindacali siano disposte a qualsiasi concessione per mantenere, grazie alla legittimazione delle controparti e del governo, i loro privilegi.