“Città metropolitana”: dal sindaco al podestà di Mariangela Rosolen
Dopo la rottamazione del Senato e delle Province, sembra proprio che adesso tocchi ai Comuni. In Provincia di Torino sono 315 e di questi ben 253 hanno meno di 5.000 abitanti (il Comune di Moncenisio ne conta in tutto 34).
Si erano organizzati, avevano consorziato servizi, coordinato la mobilità intercomunale dei dipendenti, scongiurato la chiusura degli uffici postali, degli ospedali periferici e in gran parte riescono ancora ad avere bilanci in pareggio se non in attivo! Tranne Torino che ha, come noto, un deficit abissale. Da questo deficit Torino non riesce a venire a capo con le solite politiche, che infatti non funzionano nemmeno a livello nazionale.
Ed ecco l’idea geniale: devitalizzare i comuni del territorio per poter spalmare su di loro il debito della Città metropolitana. L’abolizione delle Province, soggetti di mediazione tra la grande città capoluogo e le centinaia di comuni medio-piccoli dei rispettivi territori, è stato solo l’ultimo passo.
Il progressivo strangolamento dei comuni, l’istituzione democratica più vicina ai cittadini, risale alla coppia Amato-Bassanini, che ha avviato la prima espropriazione dei poteri dei Consigli comunali e dei beni comuni. Un’opera demolitrice che il governo attuale conclude consegnando i resti di un’istituzione millenaria alla città capoluogo, detta anche metropolitana.
Non ci voleva molto a capire che questo era l’approdo verso cui spingeva il “combinato disposto” patto di stabilità e trasferimenti sempre più esigui dallo Stato, che stanno portando alla chiusura degli ospedali periferici - ora tocca a quelli di Susa e di Cuorgnè - facendo confluire i pazienti nella Città della salute (sic!) della Città metropolitana. Per le urgenze si provvederà con elicottero!
E’ lo stesso approdo a cui sono destinati i Comuni medio-piccoli costretti a una crescente paralisi non solo operativa ma anche democratica. Illuminante sotto questo aspetto l’Art 53, comma 23 , della legge 388/ 2000 Finanziaria 2001 del 2° governo Amato:i comuni sotto i 3000 abitanti, che risparmiano sul personale e contribuiscono in tal modo a contenere la spesa pubblica, e che di conseguenza non dispongono più delle figure professionali idonee “possono attribuire ai componenti dell'organo esecutivo (Sindaco e Giunta) la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.” L’anno successivo, il governo Berlusconi, con la Finanziaria 2002, eleva la soglia a 5000 abitanti e in ben 253 Comuni della provincia di Torino il politico e il tecnico diventano tutt’uno: il sindaco o l’assessore presenta la delibera di bilancio, o del piano regolatore, ed egli stesso la dichiara legittima. Così anche i cittadini si abituano all’idea che il sindaco è in realtà un “nuovo podestà”, che fa e disfà senza controllo, potendo tra l’altro scegliersi personalmente anche il segretario comunale che più gli aggrada.
E’ di questi giorni l’esempio del Comune di Coassolo, 1500 abitanti, il cui sindaco ha predisposto la delibera di cessione dell’acquedotto comunale a SMAT SpA e ha dichiarato che la delibera è legittima dal punto di vista contabile-amministrativo, l’assessore poi ha dichiarato lo stesso dal punto di vista tecnico e il segretario comunale ha firmato che va bene così! Il passaggio in Consiglio comunale è stato una pura formalità e solo quando la delibera è apparsa sull’Albo pretorio i cittadini ne sono venuti a conoscenza e si sono ribellati.
Di questo passo il personale dei 253 Comuni si riduce a poche unità, finché anche i residui compiti istituzionali (anagrafe, cimiteri) non verranno esternalizzati su “area vasta”, alias Città metropolitana e i 235 Comuni torinesi al di sotto dei 5000 abitanti non avranno più ragione di esistere. Resteranno altri 29 comuni tra i 5000 e i 10 000 abitanti da “sistemare” allo stesso modo e a quel punto l’affare è fatto: i comuni medio-piccoli saranno ridotti a organismi inerti, morti per consunzione economico-democratica, ininfluenti nel Consiglio metropolitano dove sarà il sindaco di Torino e la sua maggioranza a decidere per tutto il territorio provinciale, sul quale avrà finalmente mano libera di spalmare quel debito di cui non sa altrimenti come disfarsi.
L’esempio dell’acqua è illuminante anche sotto questo aspetto: diversi comuni della provincia di Torino, ricchi di sorgenti, gestiscono ancora direttamente il loro acquedotto, con soddisfazione dei cittadini per la qualità dell’acqua e per le tariffe, in genere meno della metà della tariffa SMAT...ma questi comuni stanno subendo forti pressioni per entrare in SMAT SpA, alla quale dovrebbero cedere l’acqua ricevendone in cambio il raddoppio della tariffa. A chi conviene? Il conto è presto fatto: ai comuni per nulla, tutti i vantaggi a Torino, che avrebbe accesso ad acqua di qualità (ora il 20% del suo fabbisogno è prelevato da Po) e al 64% degli utili corrispondenti alla sua quota azionaria in SMAT Spa, mentre ciascun comune medio-piccolo non supera lo 0,0001% del capitale sociale.
Come per le delocalizzazioni industriali, anche l’eliminazione delle Province è una buona occasione per farci perdere per strada diritti acquisiti e migliaia di posti di lavoro.
Il Comitato Acqua Pubblica Torino si sta battendo perché il diritto all’acqua, e il principio di proprietà e gestione pubblica e partecipativa senza scopo di lucro del Servizio Idrico Integrato che una delibera di iniziativa popolare firmata da 12 000 cittadini nel 2010 aveva fatto inserire nello Statuto della Provincia di Torino, non si perda per strada e sia recepito nello Statuto della Città metropolitana. Nel contempo esprime tutta la sua solidarietà ai lavoratori delle province italiane che in questi giorni stanno presidiando le loro sedi in difesa dei 20000 posti di lavoro rottamati dalle Città e province metropolitane.
La Città metropolitana è un ectoplasma della democrazia.
Riprendiamoci il Comune al più presto, prima che diventi una scatola vuota.
Tratto dal Granello di Sabbia di Gennaio/Febbraio 2015: Enti Locali: Cronaca di una morte annunciata, scaricabile qui.